sabato 5 novembre 2011

Perdonate lo sfogo....

Questo pezzo nasce da un fiume di riflessioni che da un po’ di tempo invade la mia mente e che recentemente (dopo la morte di Marco Simoncelli) si è intensificato con sempre maggior forza. Non preoccupatevi, non si tratta di una discussione relativa alla questione se e come si poteva evitare la tragedia, ma proprio l’opposto, una critica al sistema informativo televisivo italiano, sempre pronto a (stra)parlare quando accadono fatti di tal portata, presentandoci nelle varie e (stra)numerose reti televisive pseudo-esperti pronti a dire la loro su ciò che è successo, dicendo la maggior parte di volte cose non vere e le restanti,cose banali.
La volontà di spettacolarizzare qualsiasi avvenimento mi sta francamente stufando: tutto è trasformato in prodotto televisivo e preparato per il format del talk show. Chiarisco immediatamente che il mio intento non è moralista, ma di critica nel senso greco del termine (Kritike), ovvero arte e scienza del giudicare secondo i principi del vero, del buono, del bello.
Questo “dover parlare per forza” di qualcosa, trova terreno fertile in Italia, nazione in cui il “Grande Fratello” continua ad essere il programma più seguito, da cui nascono personaggi costruiti che, una volta usciti dal programma, hanno assicurata una serie di ospitate televisive per parlare della loro storia d’amore (nata o finita) con un altro concorrente, piuttosto che della grande amicizia (nata o finita) con tizio, caio, sempronio, dentro la famigerata casa. Questi signori e questi programmi sono il risultato di un paese che ha perso di vista le cose realmente importanti.
Come accade con il “Grande Fratello”, allo stesso modo con i vari casi di cronaca nera; il passo non è poi così lungo: muore Sarah Scazzi e per mesi si sviluppano trasmissioni in cui giornalisti, avvocati ed opinionisti si susseguono nello sforzarsi di dire sempre qualcosa in più degli altri, fino a quando il caso non presenta più novità da proporre, allora così come se ne era parlato voracemente, ce ne si dimentica rapidamente e i riflettori si abbassano, per spostare l’interesse verso una nuova direzione. Per quanto riguarda Sarah, l’attenzione è ancora puntata grazie (?) all’abilità dei Misseri (di cui ammettiamolo, ormai conosciamo tutto l’albero genealogico) di spararne sempre una nuova, non contenti apparentemente di tutti i sotterfugi che hanno sviluppato finora.
Altro esempio: processo ad Amanda e Raffaele, che più mediatico non si poteva, tanto che, come probabilmente già sapete, ad Amanda sono stati proposti numerosi contratti per scrivere libri, girare film, fare interviste; la sua vita vale 20 milioni di dollari: non male per una ragazzetta americana, che solo 4 anni fa era una semplice studentessa in Italia, dove si manteneva gli studi lavorando come barista. Lungi da me accusare i due ragazzi (la giustizia italiana è l’unico giudice) ma ciò che mi chiedo è come sia possibile “diventare famosi” grazie al fatto di essere in qualche modo accostati ad un omicidio. Dov’è il talento?Dov’è la meritocrazia? Tutto questo è creato da un sistema (certamente italiano ma probabilmente mondiale), in cui tutto è presentato come uno show! E non diamo la colpa solo a chi le trasmissioni le guarda; dove sono le alternative? Dove sono i programmi culturali? In rapporto a ciò che va in onda, le trasmissioni che possono alzare il livello culturale e suscitare l’interesse sono veramente poche, con il rischio di essere censurate perché dicono cose scomode.
Concludendo ,vorrei che qualcuno di voi lettori esprimesse il suo punto di vista e mi aiutasse a capire perché nelle nostre televisioni qualcuno muore assassinato e sono tutti criminologi, c’è un processo e sono tutti giudici, un pilota muore in pista e sono tutti esperti di motori, perché il “Grande Fratello” è alla sua undicesima edizione, perché gli intellettuali o i veri esperti sono zittiti: dov'è la Kultur, bellissimo termine tedesco che vuol dire contemporaneamente cultura e civiltà?
A proposito degli intellettuali, Gustavo Zagrebelsky un'intervista tratta da alfabeta2 numero di ottobre, di cui ho intenzione di parlare con più attenzione in futuro dato il notevole interesse che ha suscitato in me, dice «liberi siamo superflui, Utili non siamo liberi» in riferimento alla figura dell’intellettuale. Riflettiamo.
Facciamo Kultur insieme, non fittizi talk show, solo così possiamo migliorare l'Italia, che spero abbia veramente toccando il fondo dal quale si può solo, anche se lentamente, risalire.


>>FEDE

4 commenti:

  1. Che dire tutto nasce dalla ricerca degli ascolti iniziata negli anni '80 e per avere più ascolti ci sono diverse strade: una è far leva sui sentimenti della gente e allora cosa c'è di meglio di tragedie o omicidi specie se di giovani o addirittura bambini? Tutti ne rimangono colpiti e quindi tutti vogliono sapere, per questo le tv fanno speciali infarciti di retorica che non portano da nessuna parte ma anzi marciano tranquillamente sulle sventure degli altri senza troppo riguardo per la dignità delle vittime e dei famigliari. Poi siccome troppa cronoca nera potrebbe intristire gli animi dei più sensibili e "il nostro piangere fa male al re" ecco che entrano in gioco i reality cioè spezzoni di vita vissuta, vita vera in un contesto però completamente artificiale che quindi induce a recitare una parte, insomma quando mai vi capiterà di dover rimanere chiusi in una casa per nove mesi insieme a non so quanti sconosciuti? Qui si gioca sulla falsità travestita da verità che poi andrebbe benissimo come momento di svago se però fosse affiancata da programmi culturali, e qui tocchiamo un tasto dolente: il 90% dei programmi cosiddetti culturali riguarda l'attualità; peccato che poi spesso si scenda nel litigio e/o nelle provocazioni degne di bambini dell'asilo, oppure si fa l'elenco dei problemi senza dare una proposta di soluzione, o dicendo quello che si vuole sentire senza però far seguire i fatti alle parole... l'idea di una tv che possa essere strumento di svago ma anche di educazione che tanto bene è stata seguita nei primi 20/25 anni di programmazione RAI è solo un ricordo soppiantato dal maldestro (e forse inutile) tentativo di imitare la tv e il giornalismo spettacolo made in USA che trova le radici nei soliti anni '80. Concludo però con una nota di ottimismo: se la tv non è più uno strumento di cultura oggi abbiamo altri mezzi e proprio da tale idea è nato questo blog

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  2. Fondamentalmente concordo con michele, la televisione è commerciale e non si può pretendere che diventi un prodotto artistico o culturale più di tanto... l'unica soluzione è non guardarla o guardarla poco e rivolgersi ad altri mezzi di informazione e divulgazione culturale (cinema, teatro, web). Poi è vero che la tv di pubblico servizio dovrebbe garantire un minimo di programmazione culturale ma qui si ritorna a ciò che ho detto all'inizio... i bei programmi sulla RAI come sul satellite o digitale terrestre ci sono ma vengono trasmessi in orari improponibili (mattina, notte fonda...) sempre per motivi commerciali di audience ecc. e non c'è molto da fare in questo senso. già adesso con il digitale terrestre l'offerta Rai si è sicuramente ampliata e (forse) migliorata... sta a noi scovare quanto di buono la televisione ha ancora da offrire!

    Fabio

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  3. Come diceva Horatio Verbitsky: Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole si sappia, il resto è propaganda... quindi Fede, sfogati ma senza scusarti :-*

    Andrea

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  4. Purtroppo la tv non svolge più il ruolo educativo che aveva un tempo!anzi è sempre più trash e ha una valenza diseducativa!Forse sono un po' esagerata ma credo che almeno il 65-70% del cimitero della cultura attuale sia provocato dalla tv....

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